LAURITO – Chiesa di San Filippo d’Agira (XIII° Sec.)

 Gli affreschi (XV° sec.)

Gli affreschi ornavano le pareti e la volta a crociera di una cappellina gotica, probabilmente facente parte del palazzo baronale, successivamente inglobata nella chiesa di san Filippo d’Agira nella zona opposta a quella absidale;
realizzati con l’anacronistica tecnica delle pontate, essi dividono lo spazio di ogni parete in due parti: nella zona inferiore la serie degli Apostoli, in piedi, su fondo blu come nella più antica tradizione bizantina, è interrotta al centro della parete di fronte al lato di ingresso, dalla Madonna del Latte, la cui figura si staglia su un fondo a ramages disteso alle sue spalle come un prezioso tessuto.  I dodici  Apostoli  sono individuabili dal nome scritto a fianco di ogni figura,  nonché  dagli  attributi  iconografici  tradizionali;  gli ultimi  due  sulla parete destra sono quasi del tutto distrutti. Tutti poggiano su una sorta di zoccolo roccioso che suggerisce un’idea di spazialità naturale. Nelle lunette del registro superiore si susseguono tre episodi del Nuovo Testamento: nel primo, a sinistra la Natività dove sono contemporaneamente raffigurati la nascita di Cristo; l’episodio, tratto dai testi apocrifi, delle levatrici che lavano il Bambino; l’annuncio ai pastori; il viaggio dei Magi, dove questi invadono il registro inferiore separando in due gruppi  gli  Apostoli  e  disponendosi  su  un  piano  del  tutto immaginario e  autonomo.  

 

 

 

 

Un paesaggio di rocciafrastagliatissima è ingentilito dalla vegetazione a ciuffi fra la quale pascola un gregge descritto con un gusto narrativo vivacissimo già del resto sfoggiato nella soluzione compositiva della rappresentazione simultanea di più episodi cronologicamente distinti nel tempo. Il secondo episodio è l’Annunciazione: separati dal vano della finestra, l’Angelo, biondo, in atto di benedire, regge un cartiglio; la Vergine, seduta, è come interrotta nella assorta attività della lettura. Le due figure sono inserite in non semplici architetture dove la resa prospettica è affidata soprattutto alla forma a conchiglia che si apre alle loro spalle. Anche quì è riproposto il fondale in tessuto alla damaschina identico a quello che compare dietro la Madonna del Latte.  Questa lunetta è l’unica a presentare come cornice un elegante motivo a girali vegetali che sostituisce la decorazione a stampini o a semplici spirali presente nei riquadri del cielo. La terza scena, infine, presenta una impaginazione piuttosto originale: la lunetta, nella quale si inserisce la parte superiore di una finestra, è tripartita da due robusti pilastri quadrangolari alleggeriti da una profondissima scalanatura; lasciati gli spazi laterali aperti su un paesaggio lunare brullo e arso stagliato su un cielo striato da irreali nuvole a onde puntute, è realizzata, al centro una Flagellazione, con il Cristo legato ad un’esile colonna e tre carnefici bloccati in pose di danzatori. La volta a crociera è divisa da cornici dipinte a disegni geometrici, in otto vele, nelle quali sono raffigurati, seduti in semplici scanni ridotti a punti solidi geometrici o in più complesse architetture prospettiche, i dottori della Chiesa, intenti a scrivere o a leggere o colti nelle pause della loro attività intellettuale, come nel caso del santo Vescovo intento ad affilare la penna. Gli affreschi sono sempre sfuggiti alla critica, ad esclusione di una breve relazione redatta dal Causa (Arch. Soprintendenza B.A.S. di Napoli) nella quale il ciclo era datato fra il primo e il secondo quarto del secolo XV° e attribuito a due distinte personalità , probabilmente appartenenti a due generazioni successive; l’uno autore delle vele, l’altro degli Apostoli. La complessità delle matrici culturali di diversa e cronologicamente lontana provenienza, rende difficile l’inquadramento temporale degli affreschi per le quali si potrà pensare o ad una prolungata fase di esecuzione o alla presenza di una composita maestranza. La sostanziale unitarietà del cielo pur nell’oscillare fra attardate tradizioni spinte al rinnovamento, induce, però a tenere nel giusto conto l’effetto, fondamentale in periferia, della lunga sopravvivenza di motivi e riflessi di cultura arcaica. Una costante all’interno del ciclo, è rappresentata dalla ricerca prospettica, risolta nelle vele con la scelta di un punto di vista laterale e che approda, negli stentati scorsi delle mani, ad improbabili accorciamenti delle dita, come nel caso dell’Annunciata o della santa, in una delle vele, con la mano poggiata sul libro.
L’inserimento dell’Angelo e della Vergine in due nicchie a conchiglia, la cui realizzazione sembra essere più prossima allo spirito di Perinetto nei santi che affiancano le finestre a San Giovanni a Carbonara che non al realistico impianto spaziale della cona colantoniana di San Vincenzo Ferreri, rende appena più credibile il rapporto spazio/volume; questo, così come le aureole scorciate nella Natività e nella Annunciazione, o il tentativo, vanificato dall’incoerenza del piano d’appoggio, di rendere vero il gravare dei larghi piedi del Cristo alla colonna e dei suoi aguzzini sull’acciottolato, ci indicano che probabilmente il linguaggio pierfrancescano già era parlata comune fra gli artisti meridionali. La costruzione della figura attraverso il disporsi geometrico, quasi a spigolo vivo, delle pieghe delle ampie vesti degli Apostoli, o quel raggrupparsi per angoli retti del candido mantello dell’Annunciata è indizio però di una volontà di aggiornamento che non va oltre i modi colantoniani del San Francesco che dà la regola agli ordini, parte superiore dell’ancona di San Lorenzo. E più indietro ancora nel tempo, inevitabilmente porta la costatazione che l’idea dello zoccolo roccioso che funge da base per gli Apostoli sembra rifarsi all’episodio della Partenza di San Giorgio dipinta a Verona dal Pisanello (1433-1438). Il Maestro di Laurito sembra insomma ancorato saldamnete ad una attardata cultura che sembra ancora pienamente operante negli affreschi del ciclo, dove riflessi di cultura marchigiana si colgono nei paesaggi, nel complesso e scontato disegno delle linee di contorno alle vesti o ancora nella preziosità dei tessuti damascati. Un gusto gotico-cortese pervade alcuni brani del ciclo, come nella Flagellazione, episodio privo di ogni connotazione drammatica, dove i personaggi, affiancati da un paesaggio fortemente immaginifico, si muovono con pose da balletto come nelle ben più antiche Storie di San Giovanni Battista dei Salimbeni ad Urbino. Una ben più sentita vena narrativa di sapore lombardo, vicinissima alle storie di eremiti dipinte da Leonardo di Besozzo a San Giovanni a Carbonara, è percettibile nella Natività, dove anche le tipologie dei visi rotondi e come affetti da perenne infantilismo, sembrano ricordare quelli del lombardo. Non si può però, a questo punto, fare a meno di notare nella Madonna del latte, immagine centrale dell’intero programma iconografico, una insistita somiglianza con la Madonna con Bambino e Rubino Galeota del Duomo di Napoli, la cui datazione è alquanto tarda nel ’400 (1485 o 1495 c.; cfr. F.Bologna, 1977, p.122; D.Salvatore, in Il polittico di San Severino, Restauri e recuperi, 1989, p.107). Le somiglianze, che sfiorano nei volti quasi l’identità, tanto da far pensare ad una ripresa in controparte, si estendono anche al Bambino, simile nella frontalità del busto e nella fuga laterale delle gambe, e alla costruzione della figura che si estende negli ampi piani disegnati dal mantello, con un respiro maggiore e diverso che non negli Apostoli. Un ulteriore riferimento cronologico nel tardo ’400 ci può prevenire dall’affresco con l’Andata al Calvario nel convento della SS. Pietà di Teggiano, datato 1487, dal quale sono stati messi in luce il legame con la tradizione tardo gotica, il riaffiorare del linguaggio marchigiano e un aggiornamento, appena percettibile, sulla lezione di Piero (Il Vallo Ritrovato, 1989, pp. 48-49, scheda 3). Alcuni possibili confronti fra i paesaggi che compaiono nei due affreschi, fra il cielo, con i medesimi caratteristici addensamenti di nubi, il ripetersi a Teggiano della stessa decorazione nella veste del Cristo portacroce presente sul prezioso fondale alle spalle del santo Vescovo inserito, nelle vele, in una cornice ad archetti, possono indurre a ipotizzare che ad un artista siano riconducibili le due opere, tanto più che ritroviamo nell’Andata al Calvario la medesima verve narrativa rintracciabile nella Natività. Sarà allora forse da considerare della stessa mano, in un momento più precoce e di più chiara ascendenza marchigiana, una Madonna con Bambino ad affresco, nella chiesa di San Pietro della stessa Teggiano. Il ciclo di Laurito, realizzato in un giro di anni molto prossimo all’Andata al Calvario indicherebbe una linea di sviluppo il cui risultato estremo potrà essere rappresentato da una Pietà, datata 1507 nella Parrocchiale di Bellosguardo in cui un acceso patetismo stravolge i volti delle Marie, sfiorando il grottesco con modalità riconducibili alla matrice ispanica presente in alcuni brani dell’Andata al Calvario di Teggiano.
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